Sul rinnovamento generazionale/Quei costituenti dall’età media di sessant’anni

Il compito dei giovani è crescere e maturare

di Antonio Suraci

Da più parti giungono sollecitazioni a dare corpo alla necessità di un rinnovamento dei partiti. Richiami giusti, necessari, ma che peccano di una visione datata e che spesso risultano solo dichiarazioni emotive non sostenute da proposte progettuali frutto di una ponderata sensibilità sull’argomento. Noi repubblicani siamo spinti ad un duplice sforzo, politico e pragmatico.

Politico in quanto siamo chiamati, per tradizione, ad indicare quale potrà essere nei prossimi mesi il ruolo dello Stato-Nazione e la ricomposizione delle aspettative oggi presenti nel corpo sociale. Pragmatico perché in questa fase di transizione siamo obbligati ad utilizzare tutti gli strumenti attualmente in essere per rafforzare e rendere più pregnante l’attività politico-organizzativa del partito.

Le due cose non sono sganciate dal progetto europeo di una Federazione di Stati che andrà ad incidere, non superficialmente, sullo scenario precedentemente delineato.

Andiamo per gradi. Da sempre sosteniamo la necessità di dare corpo all’art. 49 della vigente Costituzione, impegno profuso dai nostri rappresentanti parlamentari nel disegno di legge presentato nei due rami del Parlamento. Ciò significa che, fedeli a quanto sosteniamo, dobbiamo, nel contempo, immaginare una diversa forma partito prima di affermare che solo un cambio generazionale potrà favorire il futuro che auspichiamo.

Né possiamo sostenere che le proposte di Renzi o Bersani sulla necessità di primarie, più o meno aperte, diano vita automaticamente ad una democrazia interna e, quindi, a una nuova forma partito.

Senza scomodare Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Max Weber o altri, possiamo con serenità affermare che le attuali formazioni politiche sono derivazioni della realtà ereditata e che viviamo quotidianamente. Una realtà in cui la democrazia latita, dove l’arroganza è figlia di un sistema sostanzialmente corrotto in cui il potere non può essere messo in discussione nella sua composizione nepotistica e corporativa. Noi repubblicani, è vero, siamo diversi, ma subiamo il condizionamento della realtà in cui siamo costretti ad agire e, seppur al nostro interno riusciamo a far vivere una democrazia dialettica e rappresentativa, non possiamo trasformarci in vestali dell’ideale senza comprendere in quale società il futuro partito repubblicano dovrà agire. Il futuro partito sarà la derivazione di quella società. Siamo costretti, obtorto collo, a misurarci con una realtà che sul piano elettorale condiziona le nostre scelte ed alleanze, ma ciò non significa che non si debba lavorare con umiltà per realizzare il nostro progetto e renderlo efficace sul piano della proposta politica.

Detto questo dobbiamo porci altre domande; prima fra tutte quella sulla forma istituzionale dello Stato: centralizzato o federale. Da ciò discende anche l’altra domanda: l’Europa sarà federale o cos’altro sarà?

Se lo Stato manterrà la sua caratteristica centralizzata allora potremo introdurre modifiche su base regionale, se, al contrario, sarà federale, le novità, come è ovvio che sia, saranno molto più pregnanti. E se l’Europa sarà federale, quale ruolo del partito nazionale dobbiamo privilegiare?

Non sono domande sterili, sono domande alle quali va data una risposta perché quest’ultima rappresenta l’habitat in cui dovremo far germogliare la nuova forma partito.

Secondo il dettato dell’attuale Costituzione i partiti "… con metodo democratico concorrono a determinare la politica nazionale…". Secondo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 12, secondo comma, "… i partiti politici a livello dell’Unione contribuiscono a esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione".

Determinare e contribuire rappresentano due diversi livelli di interpretazione del ruolo del partito politico.

Semplificando, possiamo affermare che quanto indicato dalla vigente Costituzione rappresenta un vero potere attribuito al partito (determina); al contrario ciò che indica la Carta fondamentale dell’Unione (contribuiscono) può essere correttamente inteso come una funzione ‘lobbistica’ che lascia, comunque, una piena autonomia ai livelli decisionali dell’Unione.

Nel primo caso il partito si identifica con la rappresentanza parlamentare (gruppi), nel secondo è la forza delle proposte sostenute dai cittadini e la loro conciliabilità con gli interessi dell’Unione a definire il percorso e il peso del partito politico.

Il partito, quindi, si trasforma. Sarà popolare o elitario? Questo è il nodo da sciogliere. Sarà all’americana, dove le lobbies determinano le scelte e i rappresentanti, sarà europeo o nazionale, dove, in quest’ultimo caso, i cittadini concorrono alla scelta dei dirigenti e dei rappresentanti su un modello già messo in di-scussione dalla società civile? Nessuna risposta è scontata. Per noi repubblicani la risposta è più complessa. Il partito che immaginiamo è una formazione politica che deve rappresentare le necessità della società (quindi più vicina all’impostazione lobbistica europea), ma al contempo viviamo in una realtà nazionale retrograda in cui il sistema non ha superato lo schema di potere vigente da oltre sessant’anni. L’unica risposta che possiamo offrire alla nostra base e alla società, in questa fase, è quella di una reale unità interna dedita allo studio e alla definizione di un ruolo politico quale garanzia di efficienza e di proposta. Quindi non è una risposta generazionale, ma una risposta di elaborazione per la quale tutte le forze interne si devono impegnare per realizzare un progetto rispondente al futuro della Nazione e dell’Europa.

Chi pone un problema generazionale si colloca su un crinale demagogico e lontano dalle reali prospettive di riforma del sistema politico. La transizione, difficile e per nulla semplice, richiede non uno scontro tra generazioni ma un incontro propositivo e di analisi su un progetto da presentare alla società civile.

Noi non perderemo perché rappresentanti di gerontocrazie, ma perderemo perché non sapremo rispondere alle necessità di rinnovamento che transitano trasversalmente tra esperienze del vecchio sistema istituzionale e la necessità di innovazione dello stesso.

I cardini della vecchia Costituzione alla Costituente si chiamavano Meuccio Ruini (69 anni), Piero Calamandrei (57), Don Luigi Sturzo (75), Togliatti (53), Alcide De Gasperi (65), Giovanni Conti (64): non erano giovani di primo pelo, ma intellettuali che seppero, allora con saggezza, transitare l’Italia dallo Statuto Albertino alla nuova Costituzione; nessuno di loro pensò di essere geriatricamente incapace. Sarebbe un grave errore oggi pensare che la giovinezza sia un elemento determinante per arrivare a trasformazioni innovative. Ci sono tanti giovani vecchi e molti, più di quanto se ne pensi, vecchi giovani. Con umiltà possiamo costruire una nuova generazione di politici per l’Italia che sogniamo. Siamo reduci da scontri generazionali senza precedenti (1968/1977), ma da quegli scontri generazionali abbiamo ricavato solo un conservatorismo peggiore di quanto si possa immaginare. Non cadiamo nello stesso errore: con il concorso di tutte le esperienze possiamo raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati: una rivoluzione culturale nell’interesse del Paese.

Dobbiamo costruire una nuova forma partito senza perimetri artificiali: l’unico perimetro è la società alla quale dobbiamo offrire il nostro servizio, la nostra saggezza e la nostra voglia di lottare per tutto ciò che riteniamo fondamentale e che troviamo nelle proposte sulla liberaldemocrazia presentate il 7 luglio scorso.